L' attivita' di normazione si sviluppa su tre livelli Internazionale (ISO) europeo (CEN) e nazionale. In generale i prodotti per il mercato europeo sottostanno al Cen e ai singoli Enti Nazionali che recepiscono le direttive comunitarie declinandole allo specifico mercato nazionale ad esempio il mercato italiano viene unificato dalle norme UNI, come quello tedesco dalle norme DIN. Le esportazioni e il mercato negli Stati Uniti invece sono normate da ASTM che sviluppa i propri standard indipendentemente. Una buona parte delle norme di prodotto e' volontaria, ovvero la sua applicazione non e' necessaria ma sono standard a cui una ditta puo' uniformarsi per aumentare il valore aggiunto del proprio prodotto e possono anche autonomamente essere richieste dalla committenza nel capitolato di appalto, quando invece una norma diventa obbligatoria, ad esempio quelle per la marcatura CE, si definisce armonizzata e viene data comunicazione sulla gazzetta ufficiale. Tutte le norme armonizzate terminano con una appendice detta ZA che si riferisce direttamene alle direttive comunitarie sulle caratteristiche essenziali di prodotto.
Le norme armonizzate specificano - norme terminologiche (ad esempio i nomi di tutte le pietre naturali estratte in Europa sono nella EN 12440) - requisiti essenziali: resistenza meccanica e stabilita', sicurezza in caso di incendi, igiene, ambiente, sicurezza e protezione dei prodotti - I metodi di misurazione e di prova di tali caretteristiche nonche le unita' di misura con cui vanno espressi. - Procedure di attestazione e documentazioni di conformita' In Italia la marcatura CE e' obbligo di legge per le pavimentazioni esterne dal 1 Ottobre 2003, per le pavimentazioni interne dal 1 settembre 2006 (lastre) e 1 Agosto 2006 (marmette modulari) e per le scale (lastre) dal 1 Agosto 2006. Le forniture per queste tipologie di prodotto devono riportare la marcatura CE, ovvero le specifiche caratteristiche fisiche e tecniche del materiale fornito, ad esempio per le pavimentazione esterne la resistenza allo scivolamento con superficie bagnata. L' Elenco delle norme UNI e ASTM attualmente in vigore per il settore della pietra naturale e della tecnologia per la sua lavorazione e' disponibile su www.bstone.it Elenco Norme UNI Elenco Norme ASTM
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Detergenti
Lo sporco di grasso, i residui di corpi eterogenei, lo smog sulle facciate in Marmo non lucido, Marmo-resina, Pietra Calcarea.Vengono eliminati da Detergenti a base alcalina. La pulizia di fondo delle facciate si ottiene sciogliendo lo sporco con un prodotto diluito in acqua e applicato a pennello, rullo o spruzzo.La rimozione può essere effettuata con l’ausilio di idropulitrice. Per lo sporco più resistente di smog, residui di posatura su Granito si deve utilizzare un Detergente a base acida per la pulizia di fondo. La sua formulazione non intacca i metalli nobili e non danneggia il vetro. Il prodotto deve essere diluito in acqua, l’applicazione si effettua a pennello, rullo o spruzzo; la rimozione può essere effettuata con l’ausilio di idropulitrice. I detergenti alcalini per facciate sono adatti a rimuove grassi, incrostazioni di fumo, smog e ruggine dalle facciate esterne in granito. La sua composizione detergente è a base alcalina molto concentrata. I detergenti chimici impiegati nella pulizia degli elementi di facciata appartengono a diverse categorie secondo la composizione ed il tipo di materiale su cui possono essere utilizzati. In linea generale, si distinguono i prodotti a base acida da quelli con reazione alcalina, insieme ai composti che appartengono al gruppo dei tensioattivi, dei sali solubili (in tutto o in parte) oppure dei solventi estrattivi da utilizzare per particolari impieghi. I composti a base acida risultano inadatti al trattamento su pietre carbonatiche come marmi, calcari ornamentali, tufi calcarei, travertini e arenarie a matrice calcarea, ma possono essere impiegati solo su pietre a base silicea come graniti, porfidi, gneiss, quarziti. Vernici o graffiti su tutti i tipi di facciate possono essere eliminati con degli specifici prodotti che riescono a rimuovere la maggior parte delle vernici in commercio, siano esse spray o liquide. Si tratta di prodotti ecologici a base acquosa ed esente da solventi che possono essere liberamente utilizzati su facciate esterne in marmo, granito, cotto, pietre calcaree e legno. Antigraffiti Per prevenire un successivo danneggiamento si consiglia la protezione con uno specifico antigraffiti che eviti la penetrazione delle vernici in profondità e ne consente la rimozione utilizzando la sola forza del vapore oppure utilizzando un apposito sverniciante che in pochi minuti scioglie le scritte. Il miglior antigraffiti è un prodotto a base di cere esterificate e microcristalline additivate con speciali resine acriliche senza solventi, inodore, quindi non nocivo per la salute e per l’ambiente, deve resistere e proteggere dalle scritte fatte con le normali bombole spray in commercio. Si usa stendendo due mani incrociate di prodotto con un panno o pennello ripetendo l’applicazione su materiali molto porosi. Il prodotto, una volta asciutto, ha aspetto opaco su materiali grezzi; frizionando leggermente con un panno si ottiene un aspetto brillante sui materiali lucidi. I graffiti possono essere rimossi con l’uso di tamponi abrasivi, paglia d’acciaio oppure con getti di vapore, che sciolgono il velo di prodotto applicato, asportando la vernice. In questo modo l’operazione diventa molto semplice ed ecologica. Per la protezione delle facciate dall’insidia delle intemperie, dall’acqua e dallo sporco l’impermeabilizzazione e la protezione è consigliato l’utilizzo di un’idro-oleo repellente che consente di preservare le facciate in Marmo, granito, cotto, cemento e pietre calcaree preservandone la naturale bellezza. I tipi di pietra naturale identificabili negli edifici di una città dipendono largamente dalle caratteristiche geologiche della regione circostante. Testimonianze che confortano questa semplice affermazione si possono certamente trovare in Lombardia, una regione con una grande varietà geologica e in cui ogni città mostra nei propri edifici storici una “rassegna” dei materiali reperibili localmente. Già nel XVII secolo, il celebre architetto e trattatista veneto Vincenzo Scamozzi sottolineava l'importanza dell'utilizzo dei materiali locali per abbassare i costi di costruzione connessi ad un lungo trasporto dei materiali edili “Laonde sarà prudente consiglio il sapersi servire di quelle materie che producono i propri paesi o che d'altrove si trasportano con facilità”. La città di Milano, capitale del Ducato omonimo e lontana dalle aree di cava, fu in grado di rifornirsi di pietre naturali da diverse zone grazie alla presenza di laghi e fiumi e allo scavo di opportuni canali, i quali consentirono un più facile trasporto ai cantieri. Riguardo alle zone di approvvigionamento, è necessario considerare che fino al 1797 l'attuale territorio lombardo era diviso fra il Ducato di Milano (settore ad occidente del corso dei fiumi Adda e Oglio) e la Repubblica di Venezia (settore ad oriente). Tale divisione influì quindi sulla disponibilità e sull'uso di determinati materiali lapidei anche nella città di Milano. L'unità territoriale fu raggiunta solo nel 1797 con la Repubblica Cisalpina e si mantenne poi con il regno Lombardo-Veneto. La Val d'Ossola, infine, fece parte del Ducato di Milano fino al 1748. Una ricerca sui materiali lapidei tradizionali milanesi richiede uno studio relativo alla natura geologica, alle caratteristiche mineralogico-petrografiche, all'identificazione degli edifici in cui sono stati impiegati, allo sviluppo cronologico di tale impiego, alle forme di degrado legate alla composizione ed alla struttura. Tutto questo va quindi riferito alle aree storiche di cava presenti nel territorio. Questa ricerca è necessaria per la conoscenza della storia dei materiali da costruzione e della storia dell'architettura e risulta molto utile ai fini della conservazione dei beni monumentali. Tuttavia, questo tipo di ricerca, che unisce geologia ed architettura, è stato per lungo tempo trascurato sia dai geologi, interessati principalmente alla litologia e alla stratigrafia, sia dagli architetti, interessati alle tipologie costruttive e agli stili architettonici. Le pietre lombarde e il loro utilizzo in architettura furono descritte in maniera diretta dal già citato Scamozzi, poi gli studi di Breislak, di Curioni, di Jervis o di Salmoiraghi nel XIX secolo ebbero una base scientifica; anche in seguito l'interesse per tale argomento è stato limitato agli aspetti commerciali come nei testi della Federazione fascista degli Esercenti le industrie estrattive del 1939. Solo dopo il 1955 furono pubblicati studi rilevanti come quelli di Fagnani e di Rodolico.
Nel nostro caso si tenta di riassumere quanto emerso da venticinque anni di studi dedicati, dall'Istituto per la conservazione e la valorizzazione dei Beni Culturali del Consiglio Nazionale delle Ricerche, alla conservazione del patrimonio architettonico milanese. 2. GEOLOGIA La città di Milano giace nella piana alluvionale del Po e dei suoi affluenti. Nel territorio montuoso (Alpi Lepontine, Retiche e Orobie) e collinoso (Prealpi) della regione, sono ben rappresentati diversi tipi di rocce magmatiche (granito, granodiorite), sedimentarie (calcare, dolomia, arenaria, conglomerato) o metamorfiche (marmo, gneiss). I depositi alluvionali furono utilizzati per fabbricare i laterizi (argille) e le malte (ghiaie e sabbie); le formazioni calcareo-dolomitiche delle Prealpi fornirono la materia prima per produrre le calci e i cementi. Si possono distinguere sei aree principali interessate, fino al XX secolo, dalla produzione di materiali lapidei utilizzati nell'architettura milanese: 1. Val d'Ossola; 2. Lago Maggiore; 3. Val Ceresio; 4. Brianza; 5. Lago di Como; 6. Gole dell'Adda e del Brembo. 3. PROPRIETÀ DELLE PIETRE Sono stati analizzati campioni di pietra provenienti da edifici e dalle cave sia mediante microscopia ottica su sezioni sottili che per diffrattometria ai raggi X su polveri. Per ciascun litotipo si riportano dati caratteristici sia petrografici che costruttivi; per quanto riguarda le dimensioni massime dei blocchi si fa riferimento a dati storici (XIX secolo). 1. VAL D'OSSOLA 1a. BAVENO Granito, grana media, colore rosa o bianco con punti neri. Composizione: quarzo, ortoclasio, plagioclasio, biotite. Geologia: corpo magmatico (Graniti dei laghi, plutonismo ercinico) intruso nella serie di rocce metamorfiche dei Laghi (gneiss e micascisti). Cave: nella parte Nord del Mottarone presso la sponda del lago Maggiore. Dimensioni massime ottenibili: monoliti fino a 13 metri. Utilizzi: conci per edilizia, fusti di colonna e pilastri monolitici. Degrado: scagliatura causata da cristallizzazione di sali. 1b. MONTORFANO Granito, grana media, colore bianco o grigiastro con punti neri. Composizione: quarzo , ortoclasio, plagioclasio, biotite. Geologia: corpo magmatico (Graniti dei laghi, plutonismo ercinico) che forma il monte Montorfano presso la foce del fiume Toce. Cave: versante Sud del Montorfano. Dimensioni, utilizzi: come granito di Baveno. Degrado: scagliatura causata da cristallizzazione di sali, macchie rugginose per ossidazione. 1c. CANDOGLIA Marmo, grana media, colore bianco o rosa con vene scure parallele. Composizione: principalmente calcite, rari quarzo, muscovite e pirite. Geologia: lenti marmoree orientate da nord-est a sud-ovest, intercalate da metapeliti e rocce basiche della zona Ivrea-Verbano. Cave: sul versante montuoso, in riva sinistra del fiume Toce. Dimensioni massime: 2 metri cubi. Utilizzi: conci per edilizia, lastre di rivestimento, piccoli fusti, elementi ornamentali. Degrado: erosione e dissoluzione del carbonato di calcio e alterazione del profilo superficiale nelle zone esposte al dilavamento delle piogge; macchia, formazione di croste (solfato di calcio). 1d. ORNAVASSO (Rosa Val Toce - Grigio Boden) Marmo, grana piccola, colore rosa con vene parallele nerastre o grigio. Composizione: principalmente calcite, rari quarzo, muscovite e pirite. Geologia: come per Candoglia. Cave: sul versante montuoso, in riva destra del fiume Toce. Dimensioni, utilizzi e degrado come per Candoglia. 1e. CREVOLA Marmo, grana medio fine, colore grigio, bianco con vene brunastre. Composizione: dolomite, flogopite. Geologia: lenti marmoree intercalate nella falda Monte Leone, parte delle Unità pennidiche inferiori. Cave: all'imbocco della Val Divedro, presso Crevola d'Ossola. Dimensioni massime: monoliti fino a 11 metri di lunghezza. Utilizzi: conci per edilizia, lastre di rivestimento, colonne, elementi ornamentali. Degrado: erosione, formazione di croste (solfato di calcio) 1f. SERIZZO Gneiss, grana media, strette bande alternativamente di colore chiaro e scuro su fondo grigio, debole foliazione. Composizione: feldspato potassico, quarzo e miche. Geologia: falda Antigorio delle Unità pennidiche inferiori. Cave: sparse in Val Formazza e Valle Antigorio. Dimensioni massime: 2-5 metri cubi. Utilizzi: conci per edilizia, colonne, elementi ornamentali. Degrado: esfoliazione. 2. LAGO MAGGIORE ANGERA (Pietra d'Angera) Dolomia, grana molto fine, colore rosa, giallo o bianco, elevata porosità. Composizione: dolomite. Geologia: Dolomia principale (Triassico). Cave: sulla sponda orientale del basso lago Maggiore. Dimensioni massime: 2 metri cubi. Utilizzi: conci per edilizia, colonne, elementi ornamentali. Degrado: erosione, esfoliazione, formazione di croste (solfato di calcio). 3. VAL CERESIO 3a. VIGGIÙ (pietra di Viggiù) Calcarenite, grana media, oolitico, colore bruno. Composizione: calcite, dolomite, raro quarzo. Geologia: Calcari selciferi lombardi (Giurassico). Cave: in una vasta area a Sud del lago di Lugano. Dimensioni massime: 1,3-3,5 metri cubi. Utilizzi: conci per edilizia, fusti colonne, capitelli, elementi ornamentali. Degrado: erosione, formazione di croste (solfato di calcio). 3b. SALTRIO (pietra di Saltrio) Calcarenite, grana fine, colore grigio chiaro, bruno o nero. Composizione: calcite, dolomite. Geologia, cave, utilizzi e degrado: come per Viggiù. 4. BRIANZA 4a MOLERA Arenaria, grana medio fine, giallo scura o grigia, planare a laminazioni ondulate. Composizione: quarzo e muscovite a cemento calcitico. Geologia: formazioni torbiditiche del Flysch di Bergamo e dell'Arenaria di Sarnico (Cretacico superiore). Cave: disperse tra le colline brianzole nelle zone di Viganò e di Oggiono. Dimensioni massime: monoliti fino a 4,5 metri. Utilizzi: conci per edilizia, fusti di colonne, elementi ornamentali. Degrado: scagliatura, non collegata alla stratificazione, con distacco di frammenti; disgregazione con distacco dei clasti causato dalla dissoluzione del cemento calcitico. 4b GHIANDONE Granodiorite, grana medio-grossolana, colore grigio con macchie chiare. Composizione: quarzo, feldspato, biotite. Geologia: corpo magmatico della Val Bregaglia - Val Màsino (plutonismo alpino) intruso nelle rocce del Basamento Sudalpino. Cave: in antico furono lavorati i massi erratici lasciati sul terreno dal ritiro dei ghiacciai quaternari; a diverse decine di chilometri rispetto all'area di affioramento in Valtellina. Dimensioni massime: 5 metri cubi. Utilizzi: conci per edilizia, rocchi per fusti, elementi ornamentali. Degrado: scagliatura. 5. LAGO DI COMO 5a VARENNA (NERO DI VARENNA) Calcare, grana molto fine, colore nero assoluto. Composizione: calcite. Geologia: Calcari di Perledo e Varenna (Triassico). Cave: distribuite sul pendio montuoso e sulla riva del lago di Como. Dimensioni massime: 0,05 - 0,25 metri cubi. Utilizzi: lastre per rivestimento, elementi ornamentali. Degrado: alterazione cromatica, erosione, formazione di croste. 5b MUSSO Marmo, grana medio fine, colore grigio o bianco con rare venature scure. Composizione: calcite, rari quarzo e muscovite. Geologia: lenti marmoree (larghezza circa 100 m) orientate da est a ovest e intercalate dagli gneiss del Basamento subalpino (zona Dervio Olgiasca). Cave: a monte dell'abitato di Musso sulla sponda Nord-occidentale del lago di Como. Dimensioni massime: 4 metri cubi. Utilizzi: conci per edilizia, lastre di rivestimento, colonne, elementi ornamentali. Degrado: esfoliazione, formazione di crosta. 6. GOLE DELL'ADDA E DEL BREMBO CEPPO DEL BREMBO A seconda della granulometria si distinguono tre varietà: un conglomerato (Ceppo Rustico), un' arenaria con ciottoli (Ceppo Mezzano), un' arenaria vera e propria (Ceppo Gentile). Colore variabile su fondo giallastro. Composizione: quarzo, calcite e silicati cementati da calcite. Geologia: Ceppo del Brembo, depositi fluviali del Pleistocene inferiore. Cave: distribuite alla confluenza fra i fiumi Adda e Brembo. Dimensioni massime: 5 metri cubi. Utilizzi: conci per edilizia, statuaria, elementi ornamentali. Degrado: erosione, disgregazione, formazione di crosta. 4. CRONOLOGIA DELL'IMPIEGO IN ARCHITETTURA Un congruo numero di edifici storici milanesi è stato studiato in occasione di interventi conservativi. I risultati delle indagini scientifiche e delle ispezioni visive delineano una “storia” dell'utilizzo delle pietre naturali in un arco di tempo che copre quasi due millenni. Il periodo Romano Gli edifici romani furono generalmente costruiti utilizzando blocchi squadrati (fino a 2 metri cubi), di conglomerato (Ceppo dell'Adda) e di granodiorite (Ghiandone), come si può osservare da quanto rimane del teatro e dell'anfiteatro, rispettivamente del primo e del secondo secolo dopo Cristo. Le fondazioni sono realizzate con blocchi e ciottoli provenienti da depositi fluviali, insieme con malta di calce. Furono poi utilizzati per scopi ornamentali o per pavimenti marmi grigi e bianchi sia locali, come il marmo di Musso (colonne di San Lorenzo), sia provenienti dalle Apuane (Luni, Carrara), sia dalle isole greche e dalla costa turca dell'Egeo. I ritrovamenti di questi materiali sono ben distribuiti in diversi edifici della città romana. Anche il marmo di Candoglia era già conosciuto dai romani cche lo utilizzarono per stele e lapidi. Nonostante la lontananza delle cave, i Romani utilizzarono anche pietre provenienti dal settore nord-orientale del territorio italiano, tra queste il calcare bioclastico di Aurisina (cave nel Carso triestino a 350 km da Milano), la trachite dei colli Euganei e il calcare nodulare di Verona (Rosso ammonitico). Il calcare di Aurisina fu utilizzato come pietra da costruzione o per le stele, la trachite per le pavimentazioni e il Rosso di Verona per gli elementi ornamentali. Furono inoltre estesamente utilizzati, per i rivestimenti parietali e per i pavimenti, diversi marmi colorati provenienti dalla Grecia (Cipollino, Fior di pesco, Porfido serpentino verde, Rosso antico), dalla Turchia (Pavonazzetto), dall'Egitto (Porfido rosso antico) e dalla Tunisia (Giallo antico). Il periodo Tardo-antico Il periodo paleocristiano (IV - V secolo) fu caratterizzato dalla costruzione di edifici religiosi in laterizio (San Lorenzo, Santa Tecla, San Simpliciano, San Giovanni in Conca, San Nazaro). Grandi conci di pietra, provenienti da edifici romani, furono riutilizzati soprattutto nelle pari inferiori degli edifici stessi: il Ghiandone a Santa Tecla, San Nazaro e San Simpliciano; il Ceppo a San Lorenzo. Questi conci hanno dimensioni considerevoli: due metri di lunghezza, uno di larghezza e mezzo di profondità. I pavimenti furono realizzati con Nero di Varenna e con marmi o calcari bianchi provenienti anch'essi dalle costruzioni romane (Santa Tecla e battistero di San Giovanni alle Fonti, entrambi del IV sec). Il Romanico Un buon numero di chiese fu costruito durante i primi due secoli del primo millennio, tutte con laterizi e pietre di riuso. Ceppo e Ghiandone nelle parti inferiori delle murature come in Sant'Ambrogio, San Vincenzo da Prato, Sant'Eustorgio e nel campanile di San Satiro. Nei rifacimenti romanici di San Nazaro e San Simpliciano, il Ceppo fu anche usato nei pilastri che sostengono le volte. I migliori esempi dell'uso di laterizi nelle murature si trovano nel Castello Sforzesco, iniziato nel 1358 e ristrutturato dal 1447 e nell'Ospedale Maggiore, cominciato nel 1456 da Antonio Averulino, detto il Filarete. Nel primo il Serizzo è usato nello zoccolo, mentre il secondo presenta elementi decorativi in terracotta intorno alle finestre e colonne di Serizzo nel portico. Fu in questo periodo che pietre di diverso colore furono combinate tra loro; era molto frequente l'accostamento tra marmi bianchi e neri: nella facciata della Loggia degli Osii (1316, ricomposta nel 1904) costruita in calcare nero di Varenna e marmo di Candoglia, nella chiesa di Santa Maria di Brera (1350, distrutta nel 1809) e nella cattedrale di Santa Maria Maggiore (distrutta nel 1683, ma conosciuta attraverso descrizioni, dipinti e stampe). La facciata di Santa Maria di Brera è attribuita a Giovanni di Balduccio, un artista di Pisa, città dove lo stesso accostamento tra bianco e nero si ritrova in numerose chiese medievali (Duomo, San Paolo a ripa d'Arno e Santa Caterina). La cattedrale gotica La costruzione del Duomo, realizzata interamente in marmo di Candoglia, iniziò nel 1386 e continuò per diversi secoli. Eccezionalmente il marmo non fu usato solo a scopo ornamentale, per sculture, guglie e rosoni, ma anche come concio per le murature, per gli archi e per le 52 colonne (altezza 24 metri). L'enorme quantità di materiale richiesta dal cantiere, rese necessario l'utilizzo di marmo proveniente sia da Candoglia che dalla vicina Ornavasso. Elementi squadrati in Serizzo furono utilizzati per lo zoccolo. Il Rinascimento Il Rinascimento portò ad uno spettacolare cambiamento con il passaggio dal laterizio alla pietra, spesso di vari colori, nelle facciate degli edifici milanesi. In questa sofisticata architettura, una pietra tenera, come la pietra di Angera, fu utilizzata per portali, modanature, bassorilievi e sculture. Esempi si trovano in Santa Maria presso San Satiro (1478) e Santa Maria delle Grazie (1493) entrambe del Bramante. La pietra di Angera era già stata usata dai Romani (steli e are) e nel Medioevo (i capitelli del X secolo in Santa Maria di Aurona). A causa dell'elevata porosità, la pietra d'Angera è soggetta all'erosione, tanto estesa da far scomparire completamente i rilievi scolpiti. Monoliti in Granito di Baveno e Granito di Montorfano furono introdotti all'inizio del XVI secolo per i fusti delle colonne. Normalmente si utilizzarono tre diversi tipi di pietra per realizzare una colonna: granito per il fusto, marmo grigio di Ornavasso (conosciuto in seguito come Grigio Boden) per le basi, pietra calcarea di Viggiù per i capitelli. I graniti comparirono prima nel portico del chiostro di San Pietro in Gessate (1509) e nei pilastri della facciata della cappella Trivulzio, opera del Bramantino (1512). A questo punto è interessante notare che i Romani non usarono i graniti dei Laghi per i loro monoliti, ma quelli egiziani di Assuan e del deserto orientale (mons Claudianus); così come per le colonne usarono spesso i marmi colorati greci (Cipollino e Fior di Pesco dell'isola di Eubea). Il Classicismo Questo periodo è caratterizzato dal ritorno al Ceppo e dall'uso su grande scala dei graniti. Diverse qualità di Ceppo furono impiegate con scopi differenti: il conglomerato negli zoccoli, l'arenaria nelle finestre. Si vedano i palazzi dei Giureconsulti (1561), Marino (1533) Omenoni (1565), le chiese di San Sebastiano, opera di Pellegrino Tibaldi, e di Sant'Alessandro, iniziata nel 1601 su progetto di Lorenzo Binago. Altre pietre molto utilizzate in questo periodo furono: il grigio Boden, o grigio di Ornavasso, nella facciata ricca di ornati e nel portico del santuario di Santa Maria dei Miracoli di Angera (1572); la dolomia di Angera nei rocchi delle colonne e nelle murature di San Fedele (1569), di San Raffaele (1575) e della Certosa di Garegnano (1577). Il numero di monoliti in granito in colonnati, portici e logge continuò ad aumentare come testimoniato dal Seminario arcivescovile (1602), dal Collegio elvetico (1608), dai palazzi Litta (1648) e delle Stelline (1652). Il granito Rosa Baveno fu scelto per le dieci colonne monolitiche di 19,5 metri di altezza, comprese nel progetto di facciata del Duomo del Pellegrino, approvato dopo decenni di discussioni. La prima fu preparata in cava nel 1628, ma si dimostrò troppo pesante per i mezzi di trasporto dell'epoca e il progetto fu definitivamente abbandonato. Il Barocco Francesco Maria Ricchino, il più significativo architetto del suo tempo e “capomastro” della Fabbrica della cattedrale, utilizzò largamente i graniti per le colonne monolitiche nei portali e nei cortili, per le cornici nelle facciate e per i conci degli zoccoli. Molte delle più innovative chiese di Ricchino furono distrutte nei secoli successivi, ma quelle superstiti attestano il ruolo dei graniti nelle sue opere: la chiesa di San Giuseppe (1607), la facciata concava con un balcone centrale convesso nel Collegio Elvetico (1627), il palazzo Annoni (1631), il chiostro centrale dell'Ospedale Maggiore (1625) dove la pietra di Angera fu impiegata per le sculture, San Giovanni alle Case Rotte (1645), i due ordini sovrapposti di colonne binate nel cortile del palazzo di Brera (1651), Santa Maria alla Porta (1652). Gli esempi del Ricchino furono seguiti dai suoi contemporanei come in San Paolo Converso (1613), San Vito al Pasquirolo (1621) e Santa Maria Podone (1626). Gli altari barocchi Un gran numero di altari fu costruito nelle chiese e nelle cappelle tra il XVII e una parte del XVIII secolo. I più elaborati hanno mense e dossali molto ornati con colonne, sculture, balaustre, fregi e scale. Anche i paliotti contengono generalmente intarsi di marmi policromi e pietre semi-preziose su marmo bianco o calcare nero. Nel caso degli altari si può dunque notare come l'utilizzo di pietre colorate, di provenienza anche estera, contraddica la regola sempre seguita relativa all'impiego di materiali locali. -Rosso di Arzo, Broccatello e Macchiavecchia, da Arzo, un villaggio non lontano da Saltrio, ma in territorio svizzero (Ticino) fin dal XVI secolo. Il Rosso di Arzo è un calcare rosso con vene o punti bianchi, il Broccatello è un calcare fossilifero violaceo, la Macchiavecchia è una breccia multicolore con alternanza di rosso, giallo e grigio. -Arabescato Orobico, calcare screziato di rosso, bianco, grigio o rosa, da Camerata Cornello nell'alta Val Brambana (Bergamo). -Occhiadino, calcare stromatolitico grigio con venature bianche irregolari, dalla Val Camonica. -Alabastri calcarei (oggi erroneamente definiti onici in ambito commerciale) di diversi colori, da Induno Olona (Varese) o dalla Val Seriana. -Giallo di Siena, marmo giallo con venature ondulate scure, dalla Montagnola senese. -Oficalci, fondo verde o rosso con vene bianche, dal Piemonte e dalla Val d'Aosta o dalla Liguria. -Marmi bianchi e grigi, dalle alpi Apuane. -Rosso di Francia, calcare rosso cupo con spesse vene bianche, da Caunes en Minervois nel dipartimento francese dell'Aude. -Broccatello di Spagna, calcare bioclastico giallo e violaceo, da Tortosa (Tarragona, Spagna). Il Neoclassicismo L intonaco prese progressivamente il posto della pietra naturale sulle facciate degli edifici, particolarmente nel periodo di fioritura architettonica iniziato nell'ultimo quarto del XVIII secolo, come il palazzo (1772) e la Villa Belgiojoso (1790), il palazzo Reale (1773), il palazzo Serbelloni (1793) e il Teatro alla Scala (1776). Graniti e Ceppo furono usati per pilastri e paraste, zoccoli, portali e decorazioni. La pietra di Viggiù, di buona lavorabilità, fu utilizzata principalmente nelle balaustre dei balconi e nelle finestre; il Ceppo Gentile soprattutto per le sculture che adornavano i giardini. Nei turbolenti anni che seguirono alla Rivoluzione francese, con la fondazione della Repubblica Cisalpina (1797), furono costruiti pochi edifici degni di nota. Per l'anfiteatro dell'Arena (1809), edificato per celebrare i fasti della Repubblica, si utilizzarono i blocchi di Ceppo provenienti dalla distruzione delle strutture difensive del vicino Castello Sforzesco, mentre l'Arco di Trionfo fu realizzato in Granito di Baveno. L'Arco della Pace, progettato in onore di Napoleone I (1808) e in seguito ridedicato all'imperatore asburgico Franz I (1838), comprende otto grandi colonne in marmo di Crevola, lo stesso marmo usato nel Duomo di Pavia. Alcune pietre ebbero “fortuna” solo per alcuni anni visto la loro scarsa resistenza agli agenti atmosferici. Un esempio è la pietra Molera della Brianza, usata localmente per conci da muratura e per decorazioni, diffusasi poi nell'architettura Neoclassica. Il rapido degrado cui era soggetta, e che comportava notevoli distacchi di materiale, ne consigliò la sostituzione con pietra di Viggiù. L'unificazione italiana Negli ultimi decenni del XIX secolo, successivi all'Unità d'Italia (1861), con il completamento della rete ferroviaria ,lo sviluppo dei commerci fu molto rapido; quegli anni furono caratterizzati dalla tendenza sempre maggiore ad importare a Milano pietre naturali da tutte le regioni italiane. Tra le pietre più importanti si citano: il calcare nodulare Rosso di Verona e la pietra di Aurisina, entrambi già usati dai Romani; il “marmo” di Chiampo (calcare nummulitico di colore rosato), il granito verde di Mergozzo, la breccia Seravezza e la Breccia Vagli delle Alpi Apuane. Benché le pietre locali come il Ceppo, il Ghiandone, i Graniti dei laghi e la pietra di Viggiù fossero utilizzate in costruzioni emblematiche come la Galleria Vittorio Emanuele II (1865 - 1878), comparirono nuove pietre lombarde non ancora cavate: il conglomerato grigio e nero di Urago-Montorfano (Como); il calcare rosso di Ardesio e l'arenaria bruna di Credaro, entrambi dalle Prealpi bergamasche. I camminamenti dei portici di piazza Duomo, alcuni innesti della galleria e molti successivi negozi adiacenti la piazza sono pavimentati in rosso, rosa di Verona e in Biancone che è sempre estratto a Verona. Le colonne monolitiche sono in rosa Baveno. Il Liberty e il Decò All'inizio del XX secolo l'aumento dei costi di lavorazione limitò l'utilizzo di pietre naturali e molte cave vennero abbandonate. Cominciarono ad essere impiegati materiali più economici come la pietra artificiale e il cemento decorativo, cioè miscele di Cemento Portland e di frantumi di pietra. La possibilità di usare gli stampi per realizzare forme diverse, consentì la preparazione di un numero impressionante di motivi decorativi. Le facciate degli edifici si riempirono di decorazioni piane, curve o di forma complessa che si ispiravano alla figura umana, a vegetali, ad animali o ad oggetti e strumenti di lavoro. La perfetta imitazione dell'aspetto superficiale della pietra naturale era molto importante: i colori dell'aggregato erano quindi bianco, grigio, rosso o rosa a seconda che la pietra da imitare fosse un marmo, un calcare o un granito. Il Cemento Portland era preparato usando, come materia prima, le rocce marnoso-calcaree della Val Seriana: il cementificio Pesenti di Albino fu la ditta capofila nelle ricerche per produrre una particolare miscela di Portland chiamata Cemento Bianco. La scelta degli aggregati era meticolosa e si utilizzavano frammenti di pietra di Botticino (bianco), pietra di Viggiù (grigio), pietra di Verona (rosso) e pietra di Varenna (nero). La superficie era lavorata usando gli stessi utensili e con la stessa finitura della pietra naturale. I Graniti ed il Ceppo erano tra le pietre ancora utilizzate, ma solo negli zoccoli degli edifici secondo quanto prescritto dal regolamento comunale. Le trasformazioni che si verificarono nelle tecniche costruttive contribuirono anch'esse all'abbandono della pietra. I balconi costituiscono, a questo proposito, un esempio significativo: tradizionalmente furono realizzati con ampie lastre di Beola (gneiss foliato della Val Ossola) sostenute da mensole metalliche o di Granito di Baveno; i nuovi balconi furono invece realizzati con gettate di cemento sostenute da putrelle metalliche, mascherate poi con volute modellate in cemento decorativo. Il Fascismo Il periodo seguente la prima guerra mondiale fu caratterizzato dalla rapida scomparsa della pietra artificiale e, nello stesso tempo, da una rapida ricomparsa della pietra naturale. Molti architetti di primo piano svilupparono un'architettura di pietra usando sottili lastre per il rivestimento delle facciate, secondo le possibilità offerte delle contemporanee tecniche costruttive (telaio di cemento armato). Questo tipo di architettura interessò edifici privati ed edifici pubblici come stazioni ferroviarie, uffici postali, scuole, ospedali, fabbricati del Partito fascista (Case del Fascio). Le lastre e gli elementi lapidei erano accuratamente segati e finemente lucidati per enfatizzare la presenza di vene e macchie colorate: tale raffinata finitura era soprattutto rivolta ai pavimenti e ai rivestimenti interni. Materiali locali come i marmi di Ornavasso, Crevola e Musso, i Graniti, il Serizzo, il Ghiandone e il Ceppo furono ancora largamente utilizzati. La scelta politica di promuovere l'utilizzo di materiali nazionali generò poi un mercato per tutte le pietre estratte non solo in Lombardia, ma in tutta l'Italia. Furono così utilizzate sia pietre di antica tradizione come l'Arabescato orobico e il Botticino sia pietre di nuove aree di cava come l'Abbazia, un calcare grigio con venatura bianca della Val Seriana, il Porfido rosso, il conglomerato rosso della Val Camonica e il Serpentino verde della Valtellina. Pietre provenienti da altre regioni come la Sienite di Biella, il Granito nero (granulite) di Anzola d'Ossola, il marmo bianco della Valle Strona, il calcare fossilifero rosato di Finale Ligure, i travertini di Tivoli o di Rapolano, gli oficalci di Aosta, Cesana e Levanto (oggi definiti commercialmente Verde Alpi, Verde Italia ecc.), l'argilloscisto verde della Valle della Roja, la trachite grigia dei colli Euganei , i calcari nodulari rossi di Trento e di Asiago, i marmi venati e brecciati delle Alpi Apuane, i graniti dell'isola d'Elba e della Gallura. Il periodo post-bellico La ricostruzione intrapresa per riparare gli estesi danni causati dalla II guerra mondiale, in particolare dalle incursioni aeree degli anni 1942-44, cambiò l'aspetto di Milano, soprattutto nel centro cittadino. Le facciate di moltissimi nuovi edifici di abitazione furono rivestite con lastre, fissate con zanche metalliche, di Ceppo del lago d'Iseo (Ceppo di Grè), breccia di colore grigiastro con elementi calcarei angolosi in una matrice ricca di cavità. Altre pietre italiane di nuova applicazione a Milano furono poi: il Perlino di Asiago (Vi), la pietra di Vicenza e quella di Trani (Ba), le pietre maremmane (Lavagrigia, Lavarossa e Santafiora), la pietra Piasentina da Torreano (Ud). Nell'ultimo quarto del XX secolo, con l'avvento di nuovi materiali come vetro, acciaio e ceramica, l'uso della pietra in architettura milanese diminuì in maniera notevolissima. Oggi, nonostante la pietra sia tornata in uso a partire dall'ultimo ventennio, le pietre cavate in Lombardia si sono ridotte ulteriormente a favore di materiali provenienti dai cinque continenti. Fanno eccezione gli gneiss e i graniti dell'Ossola e il Ceppo d'Iseo oltre, naturalmente al marmo di Candoglia della Veneranda Fabbrica del Duomo. Fra gli edifici milanesi di recentissima realizzazione (2007) spicca l'ampliamento, progettato da Grafton Architects, della Università Bocconi con le facciate rivestite da lastre di Ceppo di Grè. Anche gli edifici che dovrebbero essere costruiti nei prossimi anni prevedono l'uso della pietra: è il caso del marmo di Candoglia per il rivestimento del Museo di Arte Contemporanea, progettato da Libeskind nell'ambito della riqualificazione del quartiere storico della Fiera di Milano. Bibliografia Scamozzi, V. L'idea dell'architettura universale, p. 400-402, Venezia, 1615 (la citazione è tratta da: pagina 176, capitolo 2, libro 7, Parte 2) Breislak, S. Descrizione geologica della Provincia di Milano, p. 309, Silvestri, Milano, 1845. Curioni, G. Geologia applicata delle Province Lombarde - Parte 2, p. 296, Hoepli, Milano, 1877. Jervis G. I tesori sotterranei dell'Italia - Parte 4, p. 519, Loescher, Torino, 1889. Salmojraghi, F. I materiali naturali da costruzione, p. 454, Hoepli, Milano, 1894. Peverelli, G., Squarzina, F. (a cura di) I Marmi italiani, p. 453, Federazione fascista degli Esercenti le industrie estrattive, Roma, 1939. Fagnani, G. “Giacimenti di rocce e minerali utili tra il lago Maggiore ed il lago di Garda”, Natura, Vol. 47 (1956), pp. 3-55. Rodolico, F. Le pietre delle città d'Italia, p. 502, Le Monnier, Firenze, 1965. In caso di rottura di una piastrella di marmo - fatto quasi impossibile per un granito - per caduta di un oggetto pesante si può intervenire lavando a fondo con un detergente neutro la parte danneggiata, sciacquare con acqua fredda e lasciare asciugare.
Quindi pulire ogni residuo di polvere o sporco dalla parte utilizzando una spazzola dura. Con un’apposita resistenza elettrica (un saldatore con piastra piana riscaldata) si scioglie uno specifico stucco del colore il più simile al marmo danneggiato assicurandosi che la fessura o abrasione sia ben riempita.Dopo il suo raffreddamento si rimuove l’eccesso con una spatola e si liscia con una carta vetrata fine e si lucida con una cera in pasta e panno morbido. I prodotti sigillanti le crepe e imperfezioni sono usualmente composti da resina poliestere con cariche in sospensione, a due componenti: adesivo e catalizzante per un eccezionale ancoraggio e stuccatura di marmi pietre calcaree e travertini e in seguito levigare Sono in commercio in vari colori (bianco - paglierino chiaro - paglierino scuro - svilari - giallo ocra - grigio carnico - grigio pernice - rosso Assisi - rosso Verona - verde chiaro - nero) per essere il piu' possibile simili alla pietra originale. Si Induriscono rapidamente aggiungendo l’apposito catalizzatore con un’ottimo potere adesivo penetrando facilmente nelle cavità e porosità della pietra. Dopo l’indurimento possono essere lavorati come la pietra. Sono insensibili alla maggior parte dei prodotti chimici normalmente impiegati quali: oli, grassi, detersivi, solventi, ecc. Il tipo più tenace ad alto potere adesivo, specifico per il granito, stucca e sigilla anche crepe ed imperfezioni delle lastre. Una volta catalizzato, può essere levigato utilizzando le normali attrezzature per levigatura recuperando anche grandi imperfezioni su manufatti di pregio che, diversamente, verrebbero considerati scarti. Inalterabile alle intemperie e di alta resistenza ai solventi, agli alcali ed agli acidi, è disponibile nelle versioni: trasparente Liquido e verticale, paglierino verticale, bianco verticale. Il prodotto è pigmentabile. Richiede superfici pulite, perfettamente asciutte e prive di polvere dove spatolare accuratamente i due componenti mescolati in rapporto di due parti di mastice e una di indurente usando piccole quantità di prodotto per evitare una reazione troppo rapida. Per un buon lavoro sono suffi cienti 250-500 gr. per singola catalisi. La miscela preparata ha una durata 20-25 minuti a 20 C che sarà più lunga con una temperatura inferiore, più corta se più alta. L’umidità dell’aria può cambiare i tempi di reazione, pertanto è sconsigliabile l’applicazione quando c’è forte umidità. Non applicare il prodotto con temperatura inferiori ai 10 C. La levigatura può essere fatta già dopo 4-5 ore. La completa polimerizzazione avviene dopo 7-8 giorni. Per la stuccatura di marmi porosi o con cavità più ampie; ideale per la riparazione “fai da te” di pavimenti in marmo rovinati vengono utilizzati gli stucchi a caldo. Per gli altri tipi di interventi ci sono i prodotti sigillanti per i materiali degradato e per rinforzare le pietre tenere e le arenarie, gli Impregnanti-consolidanti trasparenti consolidanti idrorepellenti a base silossanica per il consolidamento di pietre calcaree. Gli antichizzanti sono preparati utilizzati nel procedimento di anticatura del marmo e materiali calcarei che assumono un aspetto nobile e caldo ravvivando il colore e conferendo l’aspetto antico. Per proteggere i pavimenti di pregio durante gli interventi edili e il rischio di danneggiamento (macchie di pittura e vernici, cadute accidentali di attrezzi, rigatura da sfregamento ecc...) esiste in commercio una guaina protettiva in pasta, a base di lattice di gomma. Si stende con uno spazzolone e si adagia sulle superfici senza ancorarsi. per la rimozione è sufficiente sollevare un lembo e asportare. Dopo la rimozione meccanica delle impurita' (spazzolatura) si consiglia normalmente la pulizia con un detergente neutro (ph 7) diluito in acqua (concentrato per i nuovi pavimenti).
Per la pulizia delle pietre naturali sono assolutamente da evitare: - I prodotti acidi sui marmi (es. alcool o acido muriatico) che avrebbero un effetto corrosivo e renderebbero ruvida e opaca la superficie del marmo perdendo la lucidatura. L'alcool denaturato (quello colorato di rosa) ha un pH compreso tra 5,0 e 6,0 ed essendo blandamente acido non deve mai essere usato come detergente sulle pietre naturali calcaree come marmi, onici, ardesie, travertini e arenarie. Alla lunga l'alcool rovinerebbe la lucidatura a causa della corrosione della calcite. Vale lo stesso per aceto e succo di limone, neanche diluiti. Sui marmi e le rocce calcaree in genere, nel caso ci siano macchie forti per cui non basta il detergente neutro, si usa l'ammoniaca che è basica I silicati come graniti, gneiss, serpentini, beole, serizzi, quarziti invece sono resistenti agli acidi deboli come alcool, aceto, citrico e anche ad alcuni acidi forti che si usano nella pulizia domestica come l'acido muriatico (solforico). In ogni caso si consiglia di usare gli acidi forti solo in casi estremi e avendo provato prima tutti gli altri detergenti meno potenti nella vostra lotta contro lo sporco. Non usare mai su nessuna pietra naturale, graniti compresi, prodotti detergenti che contengono l' acido fluoridrico (HF), che ha il potere di sciogliere completamente il quarzo che compone i silicati - non parliamo del calcare - o l' acido fosforico (H3PO4). Prestare attenzione anche all' acido cloridrico (HCL) che in alcuni casi porta ad alterazioni del colore (macchie) o rigonfiamenti su alcuni silicati. Il cloridrico al 40% viene a volte usato per recuperare un pavimento in granito molto degradato ma questo non è un intervento di pulizia perchè restaura il pavimento al colore iniziale corrodendo - asportando - la parte superficiale del materiale. Non sono interventi da fare da soli senza consulenza. - I prodotti anticalcare: marmi, travertini, ardesie, onici sono infatti quasi interamente costituiti da calcare e si formebbero cavita' per discioglimento della calcite. Contro le incrostazioni di calcare su pavimenti e rivestimenti interni i trattamenti preventivi superficiali sono una ottima assicurazione. Di solito le deposizioni di calcare si hanno nei bagni a causa della durezza dell'acqua potabile anche in questi casi è il trattamento idro-oleo repellente superficiale, che deve essere fatto contestualmente alla posa, che non permette al calcare di incrostarsi. I graniti, serpentini, serizzi, quarziti non essendo di calcare ma interamente di silicio sono resistenti ai comuni acidi anche se usarlo come detergente proprio non è il caso siccome è specifico per i sanitari e non per le pietre naturali (potrebbe corrodere o dare aloni innaturali anche sui silicati). Chimicamente gli anticalcare sono dei forti acidi e a volte contengono anche il temibile acido fosforico o l'acido fluoridrico Infatti le eventuali incrostazioni di calcare non si tolgono mai dalle pietre naturali con il cosidetto anticalcare ma con blandi acidi che possono sciogliere allo stesso modo il carbonato di calcio anche se con maggiore lentezza. In questi casi possono essere rimossi dai marmi e rocce calcaree in genere con un acido debole come l'acido citrico o l'alcool denaturato diluito in moltissima acqua. Per i graniti va bene un acido debole concentrato. Sciacquare via l'acido con particolare cura per i calcari per fermare la reazione corrosiva. Questa soluzione va usata solo davanti alla macchiatura conclamata da calcare. Con i marmi, nel caso serva un trattamento d'impatto, si usa l'ammoniaca diluita come abituale detergente. In casi estremi la candeggina domestica (ipoclorito a bassa concentrazione) con effetto sbiancante. Se il pavimento è sottoposto a un forte traffico deve essere sciacquato e risciacquato giornalmente con acqua e detergenti neutri diluiti non acidi o fortemente alcalini. Particolare attenzione deve essere rivolta all’asportazione dei materiali sabbiosi, abrasivi, che possono essere trasportati dall’esterno. Prima di ripercorrerlo verificare che sia perfettamente asciutto. La periodica lucidatura manuale o meccanica attraverso l’applicazione di cera ha anche un’effetto protettivo ed idrorepellente per conservare l’originale lucentezza nel tempo. Assolutamente da evitarsi detergenti aggressivi ed abrasivi contenenti, acidi, alcali forti od altri componenti abrasivi che provocano un attacco chimico o fisico sulle superfici (meglio ripetersi). Sul marmo gli acidi reagiscono con il carbonato di calcio compromettendone la lucentezza. Il granito è estremamente più resistente. Gli interventi di manutenzione sono dovuti per lo più alle reazioni della posa e ad eventi eccezionali come rotture, cadute di oggetti pe santi, acidi e alla normale usura. A lavoro finito i marmi e i graniti esprimono il loro splendore naturale rendendo piacevole ogni luogo ovunque si trovino dai pavimenti dei grandi alberghi al bagno di casa. Per il loro mantenimento ci sono varie procedure per ogni esigenza. Si parte dalla più semplice che è la rimozione quotidiana di polvere e sporco, estremamente importante per garantire la bellezza di marmi e graniti. TIPI DI DETERGENTI Normalmente il detergente deve essere neutro, ma in certi casi non basta a pulire e si deve ricorrere a soluzioni diverse come l'ammoniaca o la candeggina che vanno bene su tutte le pietra naturali. I detergenti sono i prodotti chimici impiegati nella pulizia e appartengono a diverse categorie secondo la composizione ed il tipo di materiale su cui possono essere utilizzati. In linea generale, si distinguono i prodotti a base acida da quelli con reazione alcalina, insieme ai composti che appartengono al gruppo dei tensioattivi, dei sali solubili (in tutto o in parte) oppure dei solventi estrattivi da utilizzare per particolari impieghi. I composti a base acida (es. acido muriatico) risultano inadatti al trattamento su pietre carbonatiche come marmi, calcari ornamentali, tufi calcarei, travertini e arenarie a matrice calcarea, ma possono essere impiegati su pietre a base silicea come graniti, porfidi, serizzi, beole e quarziti. I composti a base alcalina, l'ammoniaca ad esempio, sono impiegati soprattutto per i marmi, calcari ornamentali, tufi calcarei, travertini, arenarie a matrice calcarea, ardesia che non sopportano i prodotti acidi, ma naturalmente vanno bene anche sui graniti. Per superfici levigate o lucide vanno usati solo prodotti a bassa concentrazione e con grado di acidità delle soluzioni (ph) di poco superiore alla neutralità, mentre su materiali compatti e non molto sensibili è possibile ricorrere a soluzioni concentrate per esercitare un’azione più drastica di diluizione. In tutti i casi, dopo il lavaggio con soluzioni basiche o acide, occorre sempre inibire l’azione del detergente lavandolo via con acqua o con particolari sostanze neutralizzanti in modo da limitare il potere corrosivo ed eliminare la maggior parte dei sali che possono formarsi per reazione con i materiali a vista. Prima dell’applicazione di prodotti detergenti sono consigliabili delle prove che ne determinino l’efficacia perché l’azione su superfici molto alterate e in presenza di superfici a elevata porosità esiste il rischio di penetrazione del detergente senza poi la possibilità di asportazione con il lavaggio finale. Altri detergenti sono espressamente dedicati all’eliminazione di macchie di ruggine, verderame, macchie di cemento ed altro. RESINE E CERE Le resine e le cere hanno una funzione leggermente protettiva, in quanto creano uno strato superficiale per offrire una certa resistenza all’azione dell’acqua e, in misura minore, degli oli. MACCHIABILITA' In genere su tutte le pietre naturali con prevalente composizione di carbonati di calcio (calcare) come i marmi, travertini, onici (alabastri), ardesie, breccie dovrebbe essere gia' stato steso alla consegna un trattamento protettivo idro-oleorepellente a protezione della superficie lucidata perche' anche liquidi debolmente acidi come succo di limone o bevande come la Coca Cola potrebbero avere effetto macchiante che risalterebbe maggiormente su un materiale dal colore chiaro e omogeneo. I materiali naturali a base di silicati (quarzo, feldspato, mica) come graniti, quarziti, porfidi, serpentini e beole sono invece piu' resistenti e meno sensibili agli attacchi chimici anche se possono esseri corrosi da alcuni forti acidi. Marmi e graniti inoltre non sono del tutto impermeabili all'acqua a causa della loro porosita' con conseguente rischio di efflorescenze saline per trasporto di sali diluiti nell' acqua o della formazione di macchie gialle /rossastre per ossidazione del ferro che e' il problema tipico di alcuni marmi tra cui i bianchi di Carrara. Tutti questi inconvenienti sono risolti da un adeguato trattamento superficiale che chiude le porosita' microscopiche. Il trattamento idrooleorepellente e' buona norma che sia gia' stato fatto alla consegna e non e' parte della manutenzione ordinaria che comprende invece pulizia ed eventuale lucidatura. Nel caso di vecchi pavimenti l’uso di un Decerante permette di eliminare tutte le tracce di vecchie cere emulsionate a base di cere naturali, sintetiche e resine eventualmente presenti e per rimuovere lo sporco in profondità senza intaccare il lucido originale del materiale. Per la pulizia periodica dopo l’eliminazione delle cere vecchie, è invece sufficiente utilizzare un Detergente specifico per i marmi presente in commercio. Per i nuovi pavimenti pulire con un Detergente concentrato. Sono gradevolmente profumati e con pH appositamente studiato per la pulizia a fondo dei marmi e di tutti i materiali lapidei senza danneggiarli. Diluiti in acqua nelle dosi consigliate la loro azione è concentrata sullo sporco senza intaccare il marmo. Per soluzioni estreme davanti a pavimenti con particolare degrado da tempo si puo' tentare un recupero con detergenti basici (ammoniaca, candeggina) diluiti in acqua che hanno effetto sbiancante, e' consigliabile chiedere comunque un parere ad un esperto in questi casi o comunque se proprio non si resiste da fare esperimenti con dei detergenti molto forti (per esempio basici) almeno fate prima una prova del risultato su una piccola parte non troppo visibile del pavimento. Va tenuto presente che le pietre naturali variano molto tra loro, i pavimenti esterni in cubetti di porfido sono quasi immortali, i pavimenti in marmo bianco lucido (che si mettono solo all'interno per la scivolosità che avrebbero da bagnati) sono invece tra i più sensibili. (anche i vestiti bianchi si sporcano prima di quelli scuri) La lucidatura con cera di norma segue la pulitura delle superfici lucide in marmo anche se puo' essere realizzata anche sui graniti con valore protettivo. La miglior resa si ottiene con prodotti industriali specifici da qualche tempo disponibili anche presso la grande distribuzione. I lucidanti in pasta sono concentrati di cere nobili dissolte in solvente non infiammabile. sono prodotti in pasta ideali per la lucidatura finale di marmi, graniti e pietre lucide disponibile in vari colori: (incolore, nero, verde, rosso, giallo, marrone). Asciugano rapidamente, creando una superficie durissima, formando un lucido di altissimo effetto e di lunga durata. Si applicano sfregando a mano o a macchina con paglia d’acciaio fi ne, feltro o panno di lana asciutto. il risultato è lucido senza aloni e di lunga durata grazie alla composizione che penetra nelle porosità, chiudendole ed eliminando le piccole crepe. Per ottenere un risultato brillante bisogna strofinare con un cencio pulito, oppure con paglietta di ferro fine o spazzola di setola dura. Per ritardare l’asciugatura vanno invece diluiti con acquaragia. Con un litro si possono trattare dai 30 ai 60 m2. I lucidanti liquidi sono a base solventi non infiammabile studiati per ravvivare i colori e la bellezza di marmi, graniti e pietre lasciando un gradevole “aspetto bagnato”. L’uso più classico nell’ambiente domestico è quello con la classica lucidatrice o manualmente con l’uso di panno in lana della normale pulizia. Quelli con silicone modificato sono specifici per la lucidatura e protezione in fase di produzione di piastrelle, lastre e filagne in marmo, granito, agglomerati, terrazzo dopo la levigatura. La speciale formulazione consente anche l’uso manuale per lucidare e proteggere zoccolini, rivestimenti interni ed esterni, alzate e monumenti. Esiste anche una versione a base siliconica indicata per la quotidiana manutenzione di bronzi, acciai e metalli lucidi in genere, gli accessori che normalmente si uniscono alla pietra naturale. Non contiene solventi, non intacca le vernici o le patine dei bronzi moderni e non danneggia l’ozono. Trattamento dei pavimenti Come primo trattamento utilizzare una Cera Liquida per ottenere un lucido caldo, secco e duraturo. La migliore è quella con una concentrazione che consente un’ottima diluibilità in acqua, aumentandone notevolmente la resa e conservando un ottimo profumo. Deve resistere per molto tempo al calpestio e non creare aloni e non contenere resine che creano pellicole antiestetiche. La versione spray si presenta con un prodotto schiumogeno adatto alle esigenze di pulizia e lucidatura. in una sola passata. La presenza di cere nella sua composizione aumenta la lucentezza e durata nel tempo su marmi, graniti, ma anche legno verniciato. Non contiene cloro fl uoro carburi e non danneggia l’ozono. Mantenimento dei pavimenti Dopo il primo trattamento è consigliabile l’utilizzo di un prodotto specifico per il veloce e semplice mantenimento di pavimenti in pietre naturali e agglomerate. I Lavalucidanti vengono utilizzati per riunire in una sola operazione il lavaggio e la lucidatura. Rilucidatura Nel caso di pavimenti molto vecchi, che non riescano ad acquistare lucido con la normale procedura, è indicato l’utilizzo di prodotti particolari che, grazie ad uno speciale agente vetrificante ed all’uso della monospazzola, indurisce la superficie dando un lucido duraturo similare alla lucidatura del marmista. I prodotti cristallizzanti sono indicati per interventi di manutenzione per rilucidare e indurire i pavimenti in marmo ed agglomerati di marmo, senza l’impiego di cere e resine è necessario avere a disposizione una monospazzola equipaggiata con disco in paglia d’acciaio che provoca una reazione termochimica chiamata “cristalizzazione”, con la quale si ha lo scioglimento superficiale del carbonato di calcio (componente naturale del marmo) da parte di acidi deboli, i quali danno come risultato, mediante miscelamento con un agente vetrificante contenuto nel prodotto, una superficie brillante ed estremamente dura, simile al vetro. Chiude completamente le porosità, rende il pavimento molto più resistente al calpestio. Per ottenere il miglior risultato bisogna lavare bene il pavimento con specifici prodotti non degradanti. Per pavimenti molto sporchi o molto vecchi si possono anche utilizzare trielina o candeggina da sciacquare bene e lasciare asciugare bene perchè non devono rimanere tracce di cere vecchie o grassi) Dopo aver inumidito in modo uniforme con uno straccio o lo spruzzatore la superficie da trattare bisogna immediatamente passare la monospazzola con un rotolo di paglia di ferro con un lento scorrimento. Il vetrificante si asciugherà sulla superficie creando l’azione termochimica della cristallizzazione. Per le macchie ostinate ogni pietra è diversa dalle altre e ci sono infiniti metodi ed eccezioni per risolverli. Di norma la sola azione meccanica rimuove l'incrostazione ma lascia la macchia dovuta alla penetrazione di materiale macchiante nei pori della pietra. Di fronte a casi estremi, come dei graffiti con spray al silicone, ci sono pietre che sopportano serenamente i solventi come la trielina e l'acquaragia, o anche gli acidi usati nella pulizia domestica come il muriatico: graniti, serpentini, quarziti, beole, serizzi. Per i marmi è meglio provare prima con l'ammoniaca domestica. Se la macchia è dovuta all'uso di anticalcare su un marmo, alabastro, breccia, arenaria, ardesia che sono fatti di calcare allora non è una macchia ma una corrosione superficiale che richiede la rilucidatura della parte lesa. Invece graniti, serpentini, quarziti, beole, serizzi non sono per niente di calcare ma di silicati e non temono questo problema. Tutte le altre macchie particolarmente tenaci e evidenti quali olio, grasso industriale, grassi alimentari, caffè, etc. possono essere eliminate con prodotti in pasta di recente immissione sul mercato. Appositamente formulati per l’eliminazione di macchie su materiali lapidei quali marmi, graniti, pietre calcaree, ardesia e onici non intaccano il lucido del materiale, non lasciano aloni e consentono di ripristinare l’originale bellezza del materiale. La composizione chimica permette di assorbire in profondità la maggior parte delle macchie particolarmente resistenti. Si applicano stendendo con una spatola o con una paletta uno strato dello spessore di circa 5 mm. che va poi coperto con un film plastico (esempio il polietilene) per creare la necessaria umidità per mantenere la pasta morbida e rendere più efficace l’assorbimento della macchia. Dopo 2 o 3 ore, il film plastico va rimosso e dopo circa 8 – 10 ore, a seconda della temperatura ambiente, si può procedere all’asportazione della polvere con una spazzola. Perfino il toner da fotocopiatrice penetrato profondamente nei pori della pietra naturale del pavimento può essere tolto con un po' di ostinate applicazioni degli antimacchia e succhiamacchia presenti in commercio. Una volta finito qualunque sostanza abbiate usato per smacchiare deve essere rimossa lavandola via con acqua. In ogni caso i recuperi di macchie estreme sono sempre esperimenti e si deve prima provare su una piccola parte non in troppo in vista e il consiglio migliore in questi casi è chiedere un parere gratuito a chi la pietra naturale la cura di lavoro. L' esposizione agli agenti degradanti e usuranti se posta su un continuum varia in funzione - dell'utilizzo: e' massima per i pavimenti esterni minima nei rivestimenti interni, - della composizione chimica del materiale, gli alabastri (detti onici odiernamente) sono teneri e poco resistenti agli agenti chimici mentre i graniti sono duri, resistenti all' usura e temono solo alcuni forti acidi da cui vengono corrosi. - della sua omogeita' cromatica e del colore stesso, sui bianchi omogenei le macchie risaltano subito su un marmo policromo scuro molto meno - della lavorazione superficiale, una superficie lucida e' sempre piu' delicata di una lavorazione naturale a spacco di cava. - del clima, temperatura, pioggia, venti sono agenti attivi sulle applicazioni esterne - inquinamento dell'aria e dell'acqua piovana per le applicazioni esterne, per gli interni si deve porre attenzione ai bagni dove nel circuito dell'acqua calda possono essere immessi, durante le manutenzioni delle condutture delle caldaie, liquidi corrosivi che poi vengono trasportati nei bagni. In questi casi la salvezza viene dai trattamenti protettivi preventivi che chiudono i pori del materiale rendendolo impermeabile agli inquinanti portati dall'acqua. Per gli oggetti di arredamento sono in commercio prodotti cremosi e ecologici, esenti da solventi, a base acqua per interno ed esterno. Ideali per la lucidatura di marmo, granito, pietre naturali anche in locali con scarsa areazione, permettendo di ottenere risultati che in precedenza erano possibili solo con l’uso di solventi. Il loro compito è quello di chiudere piccole crepe ed i pori. un pavimento degradato anche nei casi piu' estremi in cui la parte superficiale del materiale sia irrecuperabile puo' tornare nuovo rilevigandolo e rilucidandolo con macchine specifiche nel processo di levi-lucidatura ed eventuale stuccaggio di fessure con mastice di colore compatibile. Il costo e' minore rispetto ad un pavimento nuovo oltre a essere un recupero che evita sprechi ambientali di materiali unici e storici. Il pavimento lucido in pietra naturale pulito correttamente mantiene per secoli il suo aspetto senza alterarsi o diventare opaco, il passaggio contribuisce a mantenerli lucidi come si vede nei pavimenti secolari delle chiese o dei portici di piazza Duomo a Milano per il continuo lavorio di abrasione dei piedi. Se si verifica una opacizzazione (perdita di riflettanza) vuol dire che il materiale - tipicamente un marmo - per un qualche motivo sta perdendo la levigatura superficiale e servirebbe un trattamento protettivo, la cristallizzazione superficiale ad esempio che lo renderebbe simile ad un granito per resistenza. QUALCHE DICERIA DA SFATARE Purtroppo leggiamo in internet sequenze ripetute di inesattezze e falsità sulle pietre naturali probabilmente per spaventare il consumatore e indirizzarlo verso qualcosa 'che non si macchia mai' (Fatto peraltro non vero). Tra tutte citiamo l'incredibile affermazione di non appoggiare le pentole calde sul granito perchè si macchia per il calore, cosa assolutamente impossibile. Il granito ritorna lava vulcanica verso i 3000 gradi ma a quel punto vi si fonderebbe prima la pentola in acciaio, il forno, il vetro, la cucina intera e la casa stessa. Le pietre naturali non sono fatte di plastica o di resine sintetiche come molti prodotti di imitazione, non sono composti organici, sono decisamente inerti al calore. In pietra si fanno anche i caloriferi, caminetti, stufe, piani cottura e chiaramente non si sciolgono ne si macchiano per il caldo. Un altra falsa affermazione degna di essere smentita categoricamente richiede di usare solo detergenti neutri sui graniti mentre parlando del gres, che seppur artificiale è chimicamente analogo, ci informano che la pulizia del gres porcellanato e' molto semplice. Ovviamente questo è impossibile. Gres e granito sono analoghi chimici (silicati), se uno dei due non si rovina con l'ammoniaca è impossibile che l'altro lo faccia. Veramente da ridere la raccomandazione che abbiamo letto di evitare detersivi liquidi sui marmi e calcari in genere e usare solo acqua e saponetta per la pelle. Infine vi lasciamo per ultima la più enorme di tutte, tenetevi forte: 'nessuna sostanza detergente pulisce a fondo il marmo se non rovinandolo'. Nessuna, il marmo viene corroso da tutto: acidi, neutri e basi, perfino dai detergenti specifici per marmo oppure dal sapone di Marsiglia. Per essere sicuri di essere capiti infatti aggiungono anche che l'ammoniaca danneggia il marmo. E' incredibile come vengano scritte e ripetute da diverse fonti queste affermazioni palesemente false. Non ci stancheremo mai di ripetere che sulle rocce si possono benissimo e senza problemi usare i detergenti basici. L'ammoniaca domestica al 3% anzi viene indicata da tutti coloro che sanno di cosa parlano. Poi stranamente ci troviamo a doverci difendere da questo mare di falsità ripetuto in ogni dove. Eppure per sapere la verità bastava chiedere ad un marmista, a chi fa prodotti per la pulizia o anche semplicemente ad una massaia italiana che ha il marmo in casa. La distanza tra ignoranza e malafede a volte risulta difficile da definire. In genere comunque prima di scrivere una sola riga sulle pietre naturali si dovrebbe leggere almeno un po' di chimica. Se non altro chiediamo a voi lettori di avere un approccio critico a tutte queste affermazioni, informatevi se potete perchè la chimica non è un opinione, mettete sempre in dubbio ogni frase. Anche le nostre. Sono le bugie ad avere le gambe corte. Tutti i marmisti che sentirete confermeranno quello che abbiamo detto. |
VladimiroOggi ti parlo di un giovane “imprenditore” di 40 anni, il cui solo pensiero (oltre alla famiglia, ovviamente) ruota attorno a quelle che potrebbero essere delle... potenziali occasioni di sviluppo. Categorie |